Sinfonia n.3 “con Organo” di Camille Saint-Saens.

Camille Saint-Saëns: Sinfonia n.3 in Do Minore (1886) dedicata a Franz Liszt
I. [I.1] Adagio – Allegro moderato — [I.2] Poco adagio
II. [II.1] Allegro moderato – Presto — [II.2] Maestoso – Allegro

Questa Sinfonia gode di uno straordinario successo sin dalla sua prima esecuzione, avvenuta a Londra presso la St. James Concert Hall il 19 maggio 1886, con la direzione dell’Autore in un concerto organizzato dalla Royal Philharmonic Society, committente della Sinfonia stessa. Il monumentale lavoro, all’inizio privo di dedica, fu offerto dall’Autore alla memoria Franz Listz, scomparso il 31 luglio 1886. L’organo, costruito nel 1869 da Gray & Davidson dotato di una sola tastiera, pedaliera e 22 registri, era stato ampliato nel 1882 da Bryceson. La sala della prima esecuzione fu demolita nel 1905 e al suo posto è sorto l’hotel Piccadilly.

Nel lontano 1988, tornando a casa con il CD appena acquistato [Chicago Symphony Orchestra diretta da Daniel Barenboim, Gaston Litaize al grande organo Gonzales della Cattedrale di Chartres con “mix” realizzato in fase di montaggio] lessi sulla fiancata della metropolitana questa frase:
<non c’è giorno così luminoso da impedire alla notte di calare; non c’è notte così buia da impedire al sole di sorgere>
in cui l’anonimo autore aveva sintetizzato una poetica ovvietà. La frase tornava a risuonare nella mia mente mentre ascoltavo la Sinfonia e, inaspettatamente, me ne forniva una utile chiave di lettura che tuttora mi sembra alquanto valida.
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Nel contempo, suggerisco di osservare attentamente il dipinto “Il Sole” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, che aiuta a visualizzare bene i singoli passaggi da un movimento all’altro della Sinfonia. Com’è noto, il dipinto può essere letto sia come il mesto inizio del tramonto (osservandolo dall’alto verso il basso) sia come una trionfante alba radiosa (osservandolo dal basso verso l’alto).
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La Sinfonia si apre con l’orchestra che, lentamente ma inesorabilmente, comincia a brillare di luce propria. I temi si susseguono dapprima sommessi, poi più insistenti finché diventano forti e severi come una dura giornata di fatica sebbene vissuta in un mattino luminoso e splendente. I ribattuti degli archi e dei legni, contrapposti alle note lunghe degli ottoni materializzano entrambi gli aspetti del giorno: vita quotidiana e luce.
Ma il giorno lentamente si avvia a conclusione. Il sole scende sull’orizzonte: è il crepuscolo. L’orchestra ha detto tutto quello che poteva dire con i propri strumenti (per quanto numerosi e vari) dunque non può che zittirsi pian piano per chiamare, o meglio invocare, il suono dell’organo.
Con l’organo –che entra in scena con fondi dolci e Voce Celeste– scende morbida e quieta la notte, il sonno ristoratore. E qui la vena melodica dell’Autore davvero tocca vette angeliche. Organo e orchestra si fondono e cantano insieme e descrivono una notte stellata ed idilliaca. Ma non tutta la notte è così, le tenebre si addensano, la luna e le stelle vanno via. Il pizzicato dei violoncelli evoca ombre cupe e il battito del cuore che aumenta di intensità. Gli archi e l’organo tornano a cantare. Ma sono destinati pian piano a rinunciare. Anche l’organo –alla fine– tace e, nell’andar via, lascia il campo all’oscurità.
Incubi mostruosi turbano la quiete della notte: il ribattuto degli archi, i timpani, i fiati. La notte è violentemente percossa. Ma non è ancora tutto: ecco il pianoforte, strumento che produce i suoni grazie alla percussione di corde di freddo acciaio, suonato a quattro mani, sembra evocare la tachicardia che assale il sognatore turbato da visioni orribili; il ribattuto ossessivo degli archi e dei fiati martella la mente. Folletti impazziti, al suono del triangolo e dei piatti, ridono sarcasticamente. Segue la ripetizione dell’incubo. E’ la catastrofe, è il pozzo senza fondo, il buio tremendo che tutto sommerge. Ancora una volta l’orchestra, arricchita dal suono di pianoforte, dice tutto quello che può dire e dopo aver sconvolto l’atmosfera sfuma lentamente i suoi suoni. L’incubo finisce e finisce la tenebra che si congeda in un diminuendo fino al limite dell’udibile. Basta. Le voci dell’orchestra sono finite nuovamente, la notte stenta ad andare via. Deve pur finire. Deve succedere qualcosa.
E finalmente il sole sorge, evocato da un FF dell’organo che spazza via tutto e ricrea il respiro. Qui l’organo deve essere davvero molto sonoro e molto potente, altrimenti non fa alcun effetto! Subito dopo, ancora il pianoforte con le sue note percussive tenta di evocare gli incubi appena scacciati, ma è questione di secondi e cessa definitivamente.

Il sole è sorto e il giorno alla fine trionfa. Sempre più solennemente, sempre più grandiosamente…

commento alla Sinfonia di Graziano – già pubblicato in un Forum sotto nickname

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